
Il Made in Italy e il suo ruolo nella moda internazionale
Qualche cenno storico
Sin dagli anni Ottanta i produttori italiani hanno utilizzato l’espressione inglese “Made in Italy” per difendere il proprio marchio da riproduzioni e contraffazioni estere dei prodotti nostrani, appartenenti a vari ambiti del mercato internazionale relativi ai settori dell’industria e dell’artigianato, conosciuti anche come “Le quattro A”, ossia l’Abbligliamento, l’Agroalimentare, l’Arredamento e il settore Automobilistico.
Per oltre 30 anni, in un contesto internazionale di crescita economica favorevole per il Made in Italy, le riproduzioni estere (spesso maldestre) dei nostri prodotti nazionali finirono nel mirino dei veri produttori italiani, i quali rivendicavano la lunga tradizione impiegata nella cura dei dettagli e in tutti i processi di lavorazione artigianale dei materiali, soprattutto di quelli impiegati nel settore dell’abbigliamento, noti per la fantasia nel disegno e nelle forme, ma anche per la loro durevolezza nel tempo, oltre che a essere contraddistinti dall’alta qualità e da un’eleganza senza pari.
Sono diverse le associazioni, che fin dal 1999, hanno salvaguardato il valore espresso dai brand del Bel Paese, come l’Istituto per la Tutela dei Produttori Italiani, avvalendosi, in via definitiva, del regolamento dell’art.16 della legge 166 del 2009, il quale garantisce che solo i prodotti totalmente progettati, fabbricati e confezionati in Italia possono fregiarsi dei marchi “Made in Italy”, “100% Made in Italy” e “100% Italia”. Ogni abuso, invece, è punito dalla legge (da Wikipedia).
Un 2015 all’insegna del Made in Italy?
È di pochi giorni fa la notizia che il governo ha stanziato ben 220 milioni di euro per un piano straordinario destinato a incentivare le produzioni italiane all’estero, con circa 100 milioni in più di quelli previsti dalla Legge di Stabilità, di cui 15 milioni solo per sostenere la filiera tessile nazionale. Dal punto di vista del mercato mondiale, se già dal 2013 l’Italia era tra i primi fornitori per l’export internazionale, nell’ultimo periodo si sta assistendo con timore all’insorgere del mercato russo, con un rafforzamento di quei brand noti per la produzione di capi appartenenti a una qualità medio-alta, così come la Cina, il cui mercato, rivolto ai beni di lusso più prestigiosi, strizza l’occhio sia alle grandi compagini internazionali, sia alle case di moda i cui prodotti rientrano in fasce di prezzo più “economiche”.
Made in Italy e Fur Fashion. Una tradizione quasi millenaria.
Grandi marchi a parte, la pelliccia italiana è prodotta prevalentemente da piccole e medie imprese, spesso a conduzione familiare, la cui capacità manifatturiera è legata a tradizioni artigianali che fondano le proprie radici addirittura nel Medioevo, più precisamente intorno all’anno 1100 e che, col passare del tempo, hanno influenzato non poco le mode portate avanti dalle più importanti griffe del momento come Gucci. Nel 2015, sarà proprio la casa di moda fiorentina a richiamare uno stile vintage tipico degli anni Sessanta, con i suoi capi rosa in mongolia, a differenza, ad esempio, di Gabriele Colangelo, il quale lancerà capi in pelliccia grigia con linee e tagli geometrici ben precisi, al pari dei variopinti coprispalle di Marni, fino ad arrivare allo stile quasi “militare” e intarsiato di Versace. Un trend più cupo ma al contempo stesso elegante, tendente al nero, riguarderà invece le pellicce Armani e Fendi, mentre Dolce & Gabbana ispirerà i propri capi più a un look proveniente dal mondo fiabesco e medioevale. Chiudono il cerchio brand come Roberto Cavalli ed Emilio Pucci, con capi in pelliccia rossa rievocanti un tipico stile anticonformista degli anni Settanta, a testimonianza del fatto che la lunga e secolare tradizione targata Made in Italy va al di là dei confini di ogni tempo e di ogni concorrenza.
Fonte immagine lavocedinewyork.com